Nella sua ultima seduta, la Commissione degli affari giuridici del Consiglio degli Stati ha trattato, tra gli altri argomenti, la regolamentazione legale dello stalking. Da diversi anni, la politica discute se gli atti persecutori debbano essere puniti con un reato penale creato appositamente. Il seguente articolo intende fornire una panoramica della situazione giuridica attuale, delle sue carenze e delle modifiche previste.
Lo Stalking, un fenomeno in crescita
Non esiste una definizione univoca dello stalking. La Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul), giuridicamente vincolante anche per la Svizzera, lo definisce come segue: stalking (o atti persecutori) è “un comportamento intenzionalmente e ripetutamente minaccioso nei confronti di un’altra persona, portandola a temere per la propria incolumità” (art. 34 Convenzione di Istanbul). Si tratta dunque di comportamenti ripetitivi che, presi singolarmente, possono sembrare socialmente accettabili, ma che nel loro insieme possono intimorire una persona (ad esempio, telefonate frequenti o incontri “casuali” in strada, ma anche ordinazioni di cibo e beni a nome e per conto della vittima). Riuscire a stabilire quando una pluralità di azioni superi la soglia dello stalking non è un compito facile. Spesso, gli autori di tali atti persecutori mirano a forzare una relazione amorosa con la vittima o a vendicarsi. Lo stalking può avere gravi ripercussioni sulla salute mentale e fisica della vittima, costringendola a modificare il proprio stile di vita (ad esempio evitando determinati luoghi o cambiando numero di telefono).
Situazione giuridica attuale – requisiti per punibilità elevati
Il diritto attuale già offre alcune possibilità di contrastare lo stalking. Sono previste misure di diritto civile, nonché misure di polizia e misure penali. Conformemente all’art. 28b del Codice civile (CC), una persona può chiedere al giudice di adottare misure adeguate per proteggersi dagli atti persecutori. In particolare, la vittima può chiedere che l’autore non si avvicini a lei e / o alla sua abitazione entro un certo raggio e non sia più autorizzato a entrare in contatto con lei. È pure possibile vietare all’autore l’accesso a determinati luoghi. Se l’autore e la vittima vivono nella stessa abitazione, l’autore può essere espulso dalla stessa. I giudici combinano regolarmente queste misure con la comminatoria di una pena ai sensi dell’art. 292 del Codice penale (CP): chi non rispetta tali divieti ufficiali di contatto o di accedere a un’area, può essere punito con una multa.
Tuttavia, queste misure possono essere facilmente superate, soprattutto perché è prevista “solo” una multa. Pe questo esistono anche possibilità di perseguimento penale per lo stalking. In caso di violenza fisica o sequestro fisico, possono essere applicati i reati di vie di fatto (art. 126 CP), di lesioni semplici (art. 123 CP) o di sequestro di persona e rapimento (art. 183 CP). È più complesso, tuttavia, inquadrare e punire comportamenti che, considerati singolarmente, appaiono socialmente accettabili (ad esempio telefonate o incontri, come già menzionato), ma che, per la loro frequenza, possono intimorire la vittima. Nella pratica, in questi casi vengono valutati i reati di minaccia (art. 180 CP) e di coazione (art. 181 CP). Affinché si configuri il reato di minaccia, è necessario che la vittima sia messa in stato di spavento e timore tramite una grave minaccia. Perché sia considerata una coazione, le legge richiede l’uso della violenza, la minaccia di un grave danno o un altro modo di limitazione della libertà d’agire della vittima, in modo che questa faccia, tolleri o ometta un atto contro la sua volontà.[1] Nel caso dello stalking, il problema principale risiede nel fatto che le singole azioni, di norma, non costituiscono minacce gravi. Allo stesso modo, per quanto riguarda la coazione, il principio “nessuna pena senza legge” impone un’interpretazione restrittiva dell’“altro modo di limitazione della libertà”. Ciononostante, anche con la normativa attuale, alcuni stalker sono stati condannati.[2] I giudici sono tuttavia severi: per il Tribunale federale, ad esempio, 379 telefonate in un mese sono state ritenute insufficienti a configurare il reato di coazione.[3] È quindi essenziale, a fini probatori, che la vittima documenti con precisione tutte le azioni di stalking subite.
La nuova fattispecie deve avere un effetto sia preventivo che sanzionatorio
Per garantire che lo stalking sia punito in modo più efficace e rafforzarne l’effetto preventivo, Parlamento e Consiglio federale lavorano già dal 2019 su un complemento del diritto penale in tal senso. Le Camere prevedono l’introduzione di una fattispecie autonoma di “atti persecutori” (quale nuovo art. 181b CP) così come pure di norme correlate nel diritto penale militare. Sarà punibile per atti persecutori chi segue, molesta o minaccia insistentemente una persona. Vi è ancora disaccordo tra la Commissione degli affari giuridici del Consiglio nazionale e il Consiglio agli stati riguardo alla qualificazione del reato quale reato di pericolo o reato di evento: la punibilità richiederà che lo stalking limiti effettivamente lo stile di vita della vittima, o basterà il comportamento persecutorio di per sé?
È probabile che passeranno ancora alcuni anni prima dell’introduzione della nuova fattispecie. Gli avvocati dello studio Nievergelt & Stoehr sono già a vostra disposizione per qualsiasi domanda riguardante la punibilità e la lesione della personalità in casi di stalking.
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[1] La coazione è illecita unicamente se il mezzo o lo scopo è contrario al diritto, il mezzo è sproporzionato rispetto al fine perseguito oppure ancora laddove un mezzo coercitivo di per sé legale per conseguire uno scopo legittimo costituisce, date le circostanze, un mezzo di pressione abusivo o contrario ai buoni costumi (DTF 120 IV 17, 20).
[2] Vedi DTF 141 IV 437, consid. 3.2: È necessario che l’autore del reato importuni la vittima ripetutamente e per un periodo di tempo prolungato, in modo che nel corso del tempo ogni singolo atto sia in grado di limitare la libertà d’azione della vittima a tal punto da avere un effetto coercitivo paragonabile alla violenza o alle minacce.
[3] Decisione del Tribunale Federale del 13 luglio 2007, 6B_320/2007, consid. 4.2.